Giorgio Vicentini è uomo attento e curioso, un osservatore acuto sempre pronto a catturare la realtà, umana o naturale che sia, e riproporla attraverso un suo particolare linguaggio, poetico e affabulatorio, ironico,dissacrante, con appena un sentore di civetteria bohemienne; si potrebbe tranquillamente confonderlo con un cerebrale, se non fosse per una energia costante, un movimento continuo dello sguardo, una mimica vitalissima che ci fanno capre come, dietro il paravento della parola, la chiave di lettura di Vicentini uomo e subito dopo, e conseguente4mente, di Vicentini artista sia il suo rapporto corporale, viscerale con mondo.Questi due aspetti stratificati della sua personalità sembrano emergere chiaramente dal suo lavoro, dai pannelli cosparsi di colore arricchito da sfumature di luce, punteggiati da piccoli segni, tracce appena percettibili che si muovono in uno spazio quasi mai irrigidito nella forma geometrica del quadrato o del rettangolo, ma modellato in dolci curvature che restituiscono allo spazio stesso la sua essenza bidimensionale.La sua poetica ritorna anche nelle carte che Vicentini offre per la prima volta all'attenzione del pubblico romano in questa occasione proposta dalla galleria Al Ferro di Cavallo di via Ripetta.Come per confermare la supposta dicotomia il corpus globale delle carte (144) si divide in due gruppi: Andata e Ritorno e Vapori.Nel primo nucleo del corpus Vicentini si abbandona al colore, ne privilegia uno e lo arricchisce di sfumature, lo intreccia, lo attraversa di bagliori, lo contamina appena con cenni di colore diverso; anche qui lo spazio rettangolare della carta è contraddetto da un risvolto sagomato cosparso di colore sintonico che si piega sulla carta stessa e crea sulla superficie totale uno sbalzo, un piccolo sussulto che conferisce all'opera significato e spessore.Questo ripiegamento della carta su se stessa ha dato origine al titolo della serie:Queste carte, che viste da lontano appaiono come vagamente monocrome, si animano improvvisamente quando sono illuminate da una luce radente che mette in risalto le preziosità che il lavoro reca in sè; ancora una volta, sotto il linguaggio formale, oltre il sapiente esercizio culturale della composizione, degli accostamenti, dei rapporti spaziali, si rivela il gusto naturale, pagano, di un abbandono totale al colore ed a tutte le possibili vite che il colore può esprimere sotto l'effetto della luce.Lo spazio fluttuante, le mutazioni cromatiche donano quindi alle carte il senso di una inesauribile vitalità.Nel secondo gruppo l'abbandono è al segno: Il titolo Vapori riassume ed esprime perfettamente il senso di inafferrabilità, di impalpabile leggerezza che questo gruppo di carte contiene.Anche qui lo spazio è reso bidimensionale non da sbalzi di colore, ma di frammenti di carte veline,vagamente ingiallite, che la colla fissa sulla bianca superficie dello Schoeller.Ottenuto, creato si potrebbe dire lo spazio necessario, Vicentini passa a solcarlo con segni decisi di matita grassa,ottenendo forme, segni di immagine alfabeti, tracce imperscrutabili, per passare infine all'operazione finale di dilatare, ammorbidire, confondere i segni tracciati con la gomma per cancellare, usata con leggerezza come uno strumento adatto a rendere morbidi le durezze della matita, estenuare in vibrazioni ritmiche la rigidità delle linee, rendere leggera, come il vapore appunto, l'immagine definitiva e dare al tutto un senso di equilibrio profondo, di una armonia alla quale finalmente approda l'inquietudine di partenza.Come per confermare una necessità di ritorno all'ordine, di ricondurre ad una struttura razionale la sua anima "Sturmer", Vicentini si affida a rituali matematici e architettonici:complice un corpus di 144 carte Schoeller che nasconderà (da qui il titolo delle mostra)in gruppi di 12 in altrettante scatole contenitori da lui stesso costruite in un materiale elegante e povero come il cartone; ogni scatola è composta da 12 piani sempre in cartone che scorrono come cassetti, ciascuno contenente una carta; a questo punto l'osservazione delle opere necessita di un gesto e si trasforma in una sorta di liturgia estetica, che costringe l'osservatore a nasconderla di nuovo prima di andare avanti.La carta passa così dal buio alla luce, come abbiamo già detto componente imprescindibile dei lavori di Vicentini.Licht! Mehr Licht! Sembra essere stato l'ultimo sussurro di Ghoete morente, Luce! Più Luce!. Vengono alla mente queste parole quando le carte escono lentamente dallo scrigno e chiedono, anche loro, alla luce il permesso di vivere: