C’è una costola primordiale, senza primo o dopo, tra il disegno e la scrittura: la necessità di esprimere un contenuto, che sia pensiero, emozione, sentimento.
E lungo questo itinerario, che dall’impalpabile assume una forma ben precisa, Giorgio Vicentini ha dipanato la propria materia: un caos originario, modellando il quale si può trovare e lasciare traccia del proprio cammino rendendolo sintonico con quello di tutti gli altri.
Sintonie – che nell’assonante gioco di rima richiama le sinfonie, ovvero la fusione di suoni che generano accordi e che diventa musica d’insieme – si s’intitola la nuova opera dell’artista d’Induno Olona, che lunedì 6 febbraio, alle ore 18, sarà allo Studio d’Arte del Lauro di Milano per discutere “della mia pittura e delle affinità elettive con la poesia”. Arte grafica e letteraria, infatti s’intrecciano, dialogano, si rimandano l’una all’altra sino a fondersi in un libro di 84 pagine pubblicato dalla Casa editrice Stampa 2009 di Marco A. Borroni. L’opera, presentata lo scorso autunno al Lac di Lugano, si giova della prefazione di Chiara Gatti, che non a caso ne ha sottolineato quell’indissolubile legame che lega la pittura e la poesia, citando il pittore poeta Marc Chagall e il poeta pittore Eugenio Montale.
Proprio la poesia e l’Altro col quale Vicentini dialogo col suo segno istintivo, mai banale, frutto di quell’accordo che l’intuizione dell’artista esprime di getto perché “la poesia è amore - dice Vicentini – in quanto gesto naturale”.
Nessuna convenzione e come potrebbe essercene nella poetica di Vicentini, artista che ricerca sino allo sfinimento del s4egno la cromia significante, proprio come il poeta insegue, scarnificandola, colore della parola?
La resa di questo contrappunto armonico è un’opera d’arte inusuale – ve ne sono di usuali? – provocatorie e sibillina insieme.
Provocatoria perché riconduce alla purezza del gesto primitivo dell’emozione che suscita un accordo verbale e in una società che ricerca nella semplificazione dei vocaboli – sempre più anglofoni quando non volgari (nel senso meno nobile della vulgata popolare), sempre più tecnici, sempre meno umani – questa è una lettura che concilia con quell’atto creativo che è l’amore.
Sibillina perché, volendola leggere in controluce con quel processo alchemico che è l’individuazione di ciascuno, racconta l’universale partendo dal particolare di un’esperienza esistenziale unica.
Non c’è nelle Sintonie di Vicentini alcun intento intellettuale per stupire l’osservatore, semmai la spontaneità d’una traccia veritiera. Come quando il giovane artista, che ancora non sa di esserlo, inventava il futuro disegnandolo coi gessetti dietro la lavagna. L’irrimediabile spugna del tempo è passata e ripassata su quella lavagna ma dietro, i segni sono rimasti: come lo è l’effimero vitale che ciascuno di noi incarna quando ama. Perché l’amore non muore.