Il tema della confessione, il dialogo più sincero, doloroso, intimo e profondo dell’uomo con se stesso, è affrontato da Vicentini in termini molto originali, con un linguaggio simbolico, la cui pregnanza va oltre ogni rappresentazione. Il trittico che egli ha realizzato propone, infatti, un analogo tra il percorso creativo dell’artista e quello interiore dell’uomo che cerca di dare chiarezza dentro di sé, prima di affidarsi alla misericordia di Dio.
Sulle tre superfici di cartone bianco, disposte l’una accanto all’altra in sequenza, egli interviene dapprima utilizzando la tecnica del bulino: con pazienza, incide nella materia dei solchi che attraversano, orizzontalmente, tutta l’estensione dell’opera. Scava nel candore del supporto e, faticosamente, attraverso un lavoro minuzioso e insistito, fa venire alla luce dei segni che simbolicamente rappresentano le tracce del lungo cammino che percorre l’uomo nel misurarsi con la propria coscienza.
In un secondo tempo, a sottolineare l’insistita caparbietà necessaria per una rigorosa autoanalisi, ripassa quei segni con il tratto scuro della grafite. Sempre procedendo orizzontalmente, da sinistra a destra, Vicentini ripercorre con umiltà la via tracciata: rielabora il suo rapporto con l’opera passo dopo passo, accrescendo la profondità dei solchi, scavandoli ulteriormente, slabbrandone i contorni, ferendo sempre più la materia. La direzione è la stessa, ma non è più lo stesso tratto, poiché ogni passaggio, ogni riflessione, ogni approfondimento, comporta un nuovo segno, mai identico o perfettamente corrispondente a quello precedente.
L’opera, così, si offre infine in quanto immagine visiva - costellata di segni muti – di un dialogo interiore, “tra ragione e coscienza”, come suggerisce lo stesso Vicentini.