Si tratta di un’opera che testimonia una fase particolarmente importante nell’opera di Vicentini, all’interno di una ricerca sulla pittura in sé e sui suoi valori di materia e spazio. L’artista appartiene a quella generazione di pittori che, all’inizio degli anni Novanta, reagendo al decennio di una pittura postmoderna fondata sulla citazione dell’arte di stili e periodi diversi, perde lo spessore “colto” di quella pittura, mantenendo però i contenuti di introspezione, autobiografia, oggettività che ne avevano permeato la ricerca. La sua pittura, infatti, pur tralasciando ogni riferimento figurativo, continua a rivelare la personalità dell’artista. Ciò è evidente nell’esibizione sulla tela del gesto della pennellata che definisce dei possibili campi geometrici. Anche i dettaglia sono molto importanti nel suo lavoro, il campo stesso dell’indagine della pittura. Ciò che lo interessa è il particolare della luce, anzi, della forma della luce, una determinata circostanza fisica e ottica in cui la luce si manifesta, come nel caso di queste opere e della mostra in cui sono state originariamente presentate, presso lo Studio Reggiani di Milano, dove la pittura intendeva assumere una forte fisicità, con una presenza spaziale molto intensa.
Vestali colpisce per la maestosità e la solennità che le grandi dimensioni delle due tele certamente enfatizzano. Lo stesso titolo – come spesso avviene nel suo lavoro – offre una chiave di lettura di una pittura personale e intimista. La sacralità che Vicentini ha voluto evocare nel titolo classicheggiante non è diretta all’esterno della ricerca pittorica, bensì al suo interno. Il sacro nasce al centro della pittura e in particolare del colore, depositario del mistero della luce. Con un lavoro attento, basato sulla stratificazione di toni e sulle velature, in pennellate apparentemente “distratte”, l’artista indaga il senso luministico del colore e la magia che in ogni combinazione esso può evocare.