Giorgio Vicentini non prescinde mai dalla parola, dal segno, da ciò che era l’inizio, il Verbo, che permette agli uomini di essere sociali, di confrontarsi, amarsi e a volte detestarsi. La parola muove il mondo, e di conseguenza anche l’arte, dirige il pensiero dell’artefice e trasmette a chi osserva emozioni e dolore, gioia e segreti nascosti.
L’artista Giorgio è un fanciullo che scherza con la luce e il colore, li insegue e li cattura, facendosi sedurre da essi ma mantenendo come i gatti una distanza di sicurezza, un angolo in cui dialogare con sé stesso, filtrandone gli insegnamenti e le suggestioni.
Del resto, il suo percorso creativo e umano va di pari passo con la curiosità per il mondo e suoi abitanti, ed è in continuo divenire, associato com’è quasi alla cronaca quotidiana, al modo di vivere e di pensare di un’umanità percossa dagli eventi e sempre più fragile.
Vicentini approda alla Galleria Ghiggini 1822 di via Albuzzi con una mostra personale dal titolo emblematico “Sono qui” (fino al 5 giugno), il manifesto del suo essere assertivo, compreso nella realtà, con opere che ben ne definiscono l’eclettismo, e allo stesso tempo la sfida al banale e al già visto.
Nato nel 1951, a 23 anni, dopo aver allestito la sua prima personale, decide di abbandonare gli studi di giurisprudenza per dedicarsi totalmente all’arte, con una formazione ottenuta a Milano e la scelta di andare nella direzione del concettuale, ma con un linguaggio personale basato sullo studio del colore.
Attivo anche come insegnante di Storia dell’Arte al corso di laurea in Scienze della Formazione e al Master universitario in Servizi educativi per il patrimonio artistico, dei Musei storici e di arti visive all’ Università Cattolica di Milano e per Lac edu di Lugano, è autore anche di marchi d’impresa noti a livello internazionale.
L’artista varesino è un istintivo, al servizio del gesto, e lo dimostrano ole opere variegate in mostra da Ghiggini, un’altra delle gallerie coraggiose che in tempo di pandemia accendono la fiaccola della speranza nel nome di quella fruizione culturale tanto bistrattata dalle istituzioni.
Ecco il ciclo di disegni, in cui il nero compie festose incursioni nel bianco con fanciullesca spensieratezza, oppure lavori su tavola, in cui la pittura, secondo gli intendimenti di Vicentini “è destinata a mettersi in gioco tra passato, presente e futuro, nel tentativo di costruire un nuovo statuto di luce”.
Oltre ai dipinti, in galleria ci sono importanti labori tridimensionali, come “Password” piccole sculture sigillate nel legno compresso “dove il colore scontornato si fa baluardo contro ogni possibile attacco esterno”, e “Cassaforte”, opere pensate per “proteggere gelosamente come sottovuoto, tutti i segreti della pittura”.
Dice Giorgio “sono davvero felice di fare per la prima volta una mostra da Ghiggini, la galleria storica della città. Eileen è una persona fantastica, ha voglia di fare, è precisa e analitica, ha un’umiltà quasi calvinista.
I miei disegni sono tra l’ascetico e il complicato, una griglia su cui mi appoggio. La pittura astratta può diventare decoro se dietro non c’è un’idea, il colore nasce dalla sostanza.
Il titolo “Sono qui”, secondo l’artista che ha studio a Induno Olona, rappresenta “la volontà di essere ciò che sono, non voglio stupire, fermo l’istante come con una vecchia Polaroid”.
In corso d’opera, Vicentini ha già in mente il titolo del lavoro finito: “Disegno la parola, in senso ironico e pulito. I miei disegni sono figli di un palpito istintivo, poi arriva la ragione che dà struttura portante.
Durante la chiusura forzata per la pandemia, ho avuto modo di riflettere profondamente, guardandomi dentro per sapere bene dove sono e a che punto sono arrivato. Lavoro giorno per giorno, come un atleta, per cercare di superare i miei limiti.”
Tra i lavori in mostra una sorpresa, le “Terre emerse” superfici create con l’ondolux, una particolare vetroresina piana, scontornate su un supporto di legno, piccole gemme “figliate” dalla terra in cerca di un posto nel mondo.