Colore crudo. Primitivo e antico. Così deve essere apparsa la luce quando l’uomo aprì gli occhi la prima volta dopo la cacciata dal Giardino di Dio. Perduta rappresentazione del mondo, dissepolta dalla mano dell’artista che nel cercare la forma ricrea il sapore della reliquia. Le valve come urna limpida che dischiude il mistero e svela la voce che possiede la fragilità del nido e la durezza cavernosa di un antro. Colore nodo di potenti intermittenze. Dolore nudo d’affanno nella parola che dimentica il grido della terra e risuona degli accordi del canto dei cieli, dove i gesti abbandonano la fatica delle braccia umane e sembrano rimpiangere la leggerezza imperiosa di un battito d’ali. Colore come il racconto della prima pittura del mondo, che precede il desiderio dell’uomo di lasciare l’orma della sua mano orgogliosa e audace, già macchiata di colpa. Colore segreto e manifesto, che non esprime altro che il suo esistere, colore ribelle che nasce dal ribollire della vita segreta delle cose, magma furente di materia audace. Dolcezza senza fine del paradiso lontano e pavido sguardo sull’inferno intravisto. Colore vertigine e volo. Colore vergine e inviolato nel suo nascere fuori dal controllo della mano dell’artista che genera sfumature inaspettate lavorando la materia più intima. Colore incontaminato eppure ricco di storia e di attesa, curioso di tempo e insieme capace di assomigliare ai sogni e ai terrori e di trasformarli in puro colore che non è mai mezzo ma fine, oggetto e soggetto della ricerca. Colore che acquista forza di epos nel contrasto con lo spazio vuoto, che ricorda il bianco dei versi lasciati dai poeti quando la parola rivela il suo limite e solo il silenzio dice. E la pausa dal canto. Colore lieve di tenerezze di polvere e macchia del sangue lasciato in un’arena. Colore lotta, colore pace. Colore rabbioso e docile, che possiede l’impeto di un treno un tuono un vulcano che erutta o del mare che si rivolta e insieme colore che esprime il silenzio che non senti nella fatica di amore e pudore di un filo d’erba che nasce e muore e poi nasce. Il silenzio che non senti nel passaggio tra l’alba e il giorno, tra il giorno e la sua notte. Colore che fa tremare di rispetto e riconoscenza. Colore asciutto come una lacrima seccata sul viso e insieme liquido di vita e calore, colore padrone superbo e amante che fugge. Colore fuoco che palpita nell’acqua e nel vento del padre e della madre valva, che gli hanno dato la vita e lo accolgono per dirgli che è pronto per andare solo ma mai solo per le strade, emancipato e maturo, gravato della nostalgia di loro impotenti che attenderanno per sempre il ritorno e insieme lucente della curiosità audace del figlio, desideroso di viaggio e vorace di libertà. Colore come furia che travolge o velo che avvolge. Come un pugno o una carezza. Colore finito che insegue l’infinito. Colore che sa che esprimere un pensiero significa conservare la sua forza e privarlo della sua terribilità. Colore che sorride alla mano che l’ha voluto. Colore dono.